Signori Ambasciatori, signori Sindaci delle Capitali di tutto il mondo, Eccellenze, Signore, Signori,

quale spettacolo si presenta stasera ai vostri occhi ed agli occhi del mondo intiero! Questo Salone savonaroliano dei Cinquecento – che pur è stato testimone, nel corso dei secoli, di eventi storici di dimensioni mondiali – può affermare con piena ragione che il fatto di cui esso stasera è testimone è un fatto che – collocato nel quadro della attuale situazione storica, politica, sociale, culturale e religiosa del mondo – assume rilievi e caratteri di eccezionale portata. È un fatto, comunque, che si colloca con pari dignità e con pari peso fra i grandi fatti storici di cui questo Salone dei Cinquecento e questo Palazzo della Signoria serbano, per tutte le generazioni, indistruttibile memoria. Perché, Signori, questo spettacolo indimenticabile, che presentano stasera il Salone dei Cinquecento e il Palazzo della Signoria, ha un significato ed un valore storico nettamente definito.

È la prima volta, infatti, che un Convegno così singolare – Convegno di tutte le Capitali del mondo, senza discriminazione alcuna – avviene in questo dopoguerra, e non solo in questo dopoguerra: esso costituisce, perciò, la immagine viva, visibile, del vincolo di unità, di fraternità e di pace che già esiste in potenza – e che vuole ora tradursi in atto – fra tutte le città e fra tutti i popoli e le nazioni del mondo. Immagine viva e visibile, perciò dell’unica, universale, solidale, famiglia umana. Multi unum corpus sumus, come dice scultoreamente San Paolo. Ecco perché, cari colleghi, nel darvi a nome di Firenze il più fraterno benvenuto, io devo subito esprimervi, non solo a nome di Firenze, ma – mi sia permessa l’assunzione di questo mandato tacito -a nome di tutte le città e di tutti i popoli del mondo, un grazie vivissimo: perché la vostra partecipazione a questo Convegno accende una speranza nuova nella via della fraternità e della pace cui tutti i popoli aspirano: nessuno potrà più ignorare, infatti, che la sera del 2 ottobre erano a Firenze, nel Salone dei Cinquecento, per la prima volta, l’una all’altra vicina, in fraterna comunione e concordia, le città capitali del mondo: Amsterdam, Bangkok, Belgrado, Bogotà, Bonn, Bruxelles, Bucarest, Budapest, Città del Capo, Djakarta, Gerusalemme, Guatemala, Helsinki, Karachi, Lima, Lisbona, Londra, Madrid, Managua, Monaco, Monrovia, Mosca, Nuova Delhi, Panama, Parigi, Pekino, Praga, Rangoon, Roma, San Salvador, Sofia, Stoccolma, Teheran, Tirana, Varsavia, Vienna, Vientiane e Washington. Hanno aderito i Sindaci di: Addis Abeba, Amman, Atene, Baghdad, Berna, Ciudad Trujillo, Colombo, Copenaghen, Dublino, Lussemburgo, Manila, Oslo, Reykjavik, Riyad, Saigon, Santiago , Sydney, Tokyo, Vaduz e Wellington.

Non più, dunque, Oriente ed Occidente separati da un vallo di diffidenza ma, invece, fraternamente congiunti da un ponte di speranza e di amicizia. Un ponte che Firenze – certo in virtù di una misteriosa vocazione mediatrice fra Oriente ed Occidente – ha avuto l’onore e l’ardimento di progettare e di attuare. Perché, Signori, anche le città hanno – come le persone – una vocazione ed un destino, i cui tratti appaiono chiaramente in certi singolari momenti di emergenza storica. Ebbene: la vocazione mediatrice di Firenze si manifesta nel grande incontro storico fra Oriente ed Occidente che avvenne nella terza decade del 1400 e che ebbe proprio in Firenze la sua sede. Il ponte allora steso fra le due contrastate rive della cristianità fu appunto opera della Signoria. Il precipitare degli eventi politici del mondo politico di allora – con la caduta dell’Impero Romano d’Oriente – non permise a quel grande incontro di avere gli sviluppi che esso si riprometteva. Ma il fatto resta: e poiché i secoli e le generazioni non sono dissociate, quel fatto di ieri è seme di speranza e di pace per i secoli e le generazioni di domani. Di quel fatto – che ebbe dimensioni mondiali e che fu insieme grande fatto religioso, culturale, politico e che vide a Firenze unite in cristiana concordia le supreme autorità religiose, culturali e politiche del tempo: erano a Firenze presenti il Papa Eugenio IV, l’imperatore di Costantinopoli, il Paleologo, e cardinali, patriarchi, arcivescovi, vescovi, monaci, teologi, artisti, pensatori, politici, della Chiesa di Occidente e delle Chiese di Oriente (fra di essi Isidoro, vescovo di Kiev e patriarca della Russia). Firenze serba ancora memorie e documenti di altissimo valore storico ed artistico: memorie e documenti (fra i quali l’atto medesimo di unificazione fra la Chiesa di Occidente e quella di Oriente conservato alla Laurenziana e l’affresco di Benozzo Gozzoli nella Cappella di Palazzo Riccardi) che voi avrete l’occasione di vedere in questi giorni. Signori, voi non vi stupirete se lego idealmente fra di loro i due incontri fra Oriente ed Occidente di cui Firenze si è fatta, ieri ed oggi, audace promotrice: se li concepisco come due anelli della stessa ideale catena e come due fatti essenziali della medesima avventura storica; come due manifestazioni della stessa vocazione mediatrice fra Est ed Ovest assegnata dalla Provvidenza a questa nostra dolce e misteriosa Firenze.

Voi, perciò, non vi stupirete se affermo che questo secondo incontro viene, in certo modo, a collocarsi al livello storico ed ideale del primo. A parte tutte le diversità strutturali, ambientali, storiche, che li differenzia così profondamente, vi è tuttavia fra i due incontri qualcosa di sostanziale che è ad essi comune: la necessità cioè di riaffermare che i popoli di Oriente ed i popoli di Occidente sono membrature organiche, le une alle altre complementari, dell’unica famiglia umana: che essi non possono e non devono più vivere separati e contrastanti: ma che devono vivere in pace e concordia affinché i beni spirituali e temporali di cui sono i portatori gli uni si integrino – per il comune progresso e la comune elevazione della civiltà umana – con i beni temporali e spirituali di cui sono portatori gli altri. E permettetemi, infine, di manifestarvi un segreto che ho sempre avuto nel cuore da che la Provvidenza ha disposto che assumessi la prima Magistratura della città del fiore. Da quel giorno l’ideale di Firenze mediatrice di pace fra Oriente ed Occidente ha sempre brillato vivamente nella mia anima. Da allora ho sempre pensato che l’incontro fiorentino del 1400 postulasse, nei disegni della Provvidenza – anche se con finalità e strutture diverse – un altro incontro, destinato ad inserirsi nella storia presente come ponte di pace fra tutti i popoli della terra. I Convegni della pace e della civiltà cristiana sono stati essi pure concepiti ed attuati alla luce di questo segreto ideale.

Ebbene, Signori: lo domando a voi: era un sogno? Una utopia? Potete rispondere voi stessi contemplando, con occhio meditativo, lo spettacolo singolare che presenta stasera il Salone dei Cinquecento. L’Oriente è presente, nelle sue massime città, l’Occidente è presente, nelle sue massime città; ed anche stavolta – come già nel 1400 – è stata la Signoria di Firenze (cioè il Consiglio Comunale di Firenze) a stendere un ponte di pace e di speranza fra le due contrastate rive della unica e solidale famiglia umana. Signori, interpretate le cose come volete: esse, tuttavia, sono come sono: e dal fondo del mio cuore esse sollecitano un atto di gratitudine, verso il Padre Celeste che mi dà la grazia di vedere stasera tradotto in un fatto ben determinato ciò che fino a ieri era sembrato soltanto un sogno! Non posso, Signori, davanti a queste cose non esclamare meravigliato: digitus Dei est hic. E noi tutti – io e voi – siamo persuasi che questo fatto non è transeunte: radica qualcosa di nuovo nella storia umana: mette un seme che è destinato ad avere nell’avvenire una fioritura vasta e felice. Signori, a questo punto potrei terminare questo mio discorso di saluto: e tuttavia la singolarità di questo Convegno, e le responsabilità ideali e storiche che vi si connettono, esigono che io esponga, con una certa ampiezza, le cause e le finalità più specifiche di esso. Quando siamo all’atto iniziale di un movimento nuovo – questo caratteristico movimento mondiale delle città grandi e piccole che tornano ad assumere un ruolo determinante nella storia – è bene porre in piena luce le cause che ne hanno provocata la genesi e che ne governano lo svolgimento ed il fine.

Come è nata, da cosa è stata provocata, l’idea di questo Convegno? È nata da un fatto singolare: la mia partecipazione cioè – proprio come Sindaco di Firenze – ad una sessione straordinaria del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Ginevra, nella Settimana Santa del 1954. Il tema in discussione era certamente di eccezionale portata: si trattava di proporre il problema della difesa della popolazione civile delle città dagli attacchi aerei: ma il tema, ben noto e sapientemente elaborato dalla Croce Rossa Internazionale relativamente agli attacchi aerei diciamo così «normali», diveniva improvvisamente un tema sconosciuto e quasi insolubile davanti alle prospettive totalmente nuove poste dall’uso delle bombe atomiche. Difendere che cosa, se l’uso di tali bombe significa, a priori, la distruzione radicale delle città e di intere regioni? Ascoltammo, atterriti, le relazioni meditate e misurate di uomini di altissima levatura tecnica e morale (erano tutti relatori occidentali v’erano anche relatori indiani e relatori giapponesi, questi ultimi come sperimentatori, purtroppo, dell’effetto che produce sulle città l’uso delle atomiche). Fu in quella occasione che si posero nel mio spirito alcuni problemi fondamentali concernenti appunto, per un verso, il valore ed il destino delle città e per l’altro verso la responsabilità – storica, politica, sociale – che grava sulla generazione presente rispetto alle generazioni future.

E fu allora, in connessione con questi problemi, che si affacciò nel mio animo l’idea di convocare a Firenze – in analogia a quanto si era già fatto per i Convegni della pace e la civiltà cristiana – le massime città della terra. Il titolo per questa convocazione mi veniva, diciamo così, da una negotiorum gestio di cui mi ero fatto autore; perché nel discorso pronunciato nella sessione ginevrina della Croce Rossa Internazionale dissi che mi sentivo di parlare non solo come Sindaco di Firenze, ma in rappresentanza di tutte le città – grandi e piccole – del mondo. Ed in nome di esse, mentre ne affermavo il valore storico ed il destino provvidenziale, dichiaravo che la generazione presente non aveva diritto di distruggere per sempre un patrimonio di civiltà ad essa affidato, in via soltanto fiduciaria, dalle generazioni passate perché venisse trasmesso, accresciuto e non dilapidato, alle generazioni venture. L’attuale Convegno con la sua struttura a dimensioni mondiali e con la sua stessa problematica (concernente appunto la continuità storica delle città, il loro immenso valore e la loro destinazione provvidenziale nel tessuto totale della civiltà umana, la responsabilità delle generazioni presenti rispetto a quelle venture per la custodia di questo patrimonio essenziale, per l’elevazione spirituale e materiale dell’uomo) veniva così già idealmente prefigurato: tutte le città del mondo – rappresentate dalle città capitali – avrebbero potuto incontrarsi a Firenze (la città mediatrice!) per prendere più attuale consapevolezza del proprio essere storico e del proprio misterioso destino; e per affermare solennemente al cospetto della storia intiera il proprio indistruttibile diritto all’esistenza.

Signori Sindaci, l’idea fiorita a Ginevra un anno e mezzo fa, nell’aprile 1954 – quando pensare alla pace sembrava piuttosto una speranza lontanissima e quasi un’utopia! – eccola stasera divenuta realtà: una serie di circostanze davvero misteriose e provvidenziali – gli uomini si agitano e Dio li conduce, dice un proverbio della saggezza cristiana! – hanno svolto in tal modo la trama delle cose da permettere che voi tutti – rappresentanti qualificati di tutte le città della terra – foste stasera presenti in questo, anche esso misterioso e provvidenziale, Salone savonaroliano dei Cinquecento. Non è un dilungarsi vano il riflettere ancora un istante sulla portata dell’incontro di stasera. Un anno e mezzo fa, quando la guerra sembrava inesorabile ed alle porte, quando la corsa agli armamenti era frenetica, quando appunto a Ginevra il Comitato Internazionale della Croce Rossa sentiva tutto il tragico peso degli eventi che si preparavano per l’esistenza delle città e dell’intiero genere umano, pensare che le città di Washington, di Mosca, di Londra, di Parigi (per non citare che le quattro capitali dei quattro Stati su cui pesa la responsabilità delle decisioni supreme) avessero potuto fraternamente sedere l’una accanto all’altra, in una atmosfera di pace ed in uno sforzo comune per il bene spirituale e materiale degli uomini, significava davvero sperare contro ogni speranza. Spes contra spem! Ma sperare contro ogni speranza, è un atto di fede che Dio benedice quando si tratta di affermare fra tutti gli uomini il vincolo di fraternità che li unisce al comune Padre Celeste!

Il fatto è, Signori, che quella speranza assurda è fiorita: e la letizia di questa fioritura è nei cuori di tutti noi, nei cuori di tutti gli uomini: è manifesta anche nelle luci e nei fiori che dànno stasera un volto di esultanza al Salone dei Cinquecento ed a tutto il severo ed immenso Palazzo della Signoria. E per finire su questo punto, non posso non ricordare con gratitudine gli uomini di ogni partito e di ogni nazionalità che mi hanno stimolato ed aiutato nella realizzazione di questa idea e il Consiglio Comunale della nostra città che solennemente, nella seduta del 21 marzo scorso, mi conferiva il mandato di convocare a Firenze tutti voi. Signori Sindaci, vorrei proprio aver finito questo mio discorso inaugurale: è atto di cortesia non abusare, specie nei discorsi inaugurali, della bontà degli ascoltatori. Ma voi mi darete venia ancora una volta: questo convegno che si inaugura stasera non è un convegno accademico o amministrativo o anche genericamente culturale e turistico! No: noi tutti ne abbiamo coscienza: è un convegno singolare che guarda lontano: che si inserisce con energia nel moto e nelle prospettive della storia di oggi e di domani. Perciò alcune soste di meditazione sono, anche se pesanti, necessarie e feconde. Non possiamo infatti non definire, sin da stasera, i termini essenziali delle questioni che vogliamo siano poste, per le responsabilità che vi si connettono, nel proscenio storico.

Sono due, in sostanza, queste questioni: la prima concerne la «scoperta», per così dire, del valore e del destino delle città; la seconda concerne le responsabilità nuove, immense, che pesano sugli uomini politici – gli uomini guida – della presente generazione. Parlo di «scoperta», perché il valore delle persone e delle cose si scopre sino in fondo proprio quando appare per la prima volta, nella nostra mente, il pensiero della loro possibile scomparsa. La minaccia della guerra atomica ha appunto operato questo effetto: fece scoprire – a quanti ne hanno la responsabilità e l’amore – il valore misterioso ed in certo modo infinito della città umana. Che cosa essa sia, che cosa valga a quale destino – temporale ed eterno – essa possieda è un problema che ciascuno di voi, signori Sindaci delle capitali, può prontamente risolvere nel suo spirito appena pensa alla storia delle città di cui è capo. Se queste domande me le pongo per Firenze – e voi, rispettivamente, per ciascuna delle vostre città – le mie risposte non possono essere, approssimativamente, che le seguenti. Cosa è Firenze? Posso rispondere, parafrasando una definizione di Leon Battista Alberti: una casa grande, funzionale e bella, casa costruita nei secoli, con l’apporto di tutte le generazioni, su uno spazio definito dall’Arno e dalle colline di Fiesole, di San Miniato e di Monte Oliveto, dalla grande famiglia per la grande famiglia fiorentina. …. I’ fui nato e cresciuto sovra ‘l bel fiume d’Arno alla gran villa come Dante dice (Inf, XXIII). Cosa vale? Signori, abbiate la bontà di sommare insieme tutti i tesori che i secoli e le generazioni hanno in essa depositato e che essa custodisce: tesori che definiscono il volto e la vocazione della città e del popolo che vi ha sede. Tesori e valori, di natura e di grazia: temporali ed eterni: umani e divini. Tesori e valori che hanno in essa, a piene mani, generosamente deposto uomini di altissimo livello religioso, artistico, culturale, scientifico, politico, sociale, economico e tecnico. Tesori e valori qui deposti, ma da qui destinati ad irradiarsi nei secoli, sulla civiltà intiera e nel mondo intiero. Un complesso organico di tesori e di valori accentrati attorno ai due poli essenziali della città – la Cattedrale di Santa Maria del Fiore ed il Palazzo della Signoria – e svolgentisi armoniosamente attraverso monasteri e basiliche, botteghe artigiane ed officine, centri di cultura e centri di carità, laboratori sperimentali di scienza e di tecnica. È inutile fare i nomi dei più celebri Santi, poeti, architetti, scultori, pittori, scienziati, politici, navigatori, banchieri, imprenditori, che la Provvidenza ha qui suscitato e la cui opera e la cui vocazione fanno corpo con la struttura e la vocazione totale della città! Legati a Firenze, come i profeti a Gerusalemme! Ecco, in sintesi, cosa vale Firenze: ecco cosa valgono, analogamente, le vostre città, cosa valgono tutte le città – grandi e piccole – della terra.

E quale destino esse hanno? Signori, il problema mostra la misteriosa ampiezza dei suoi termini, appena si nominano alcune città fondamentali nella geografia della rivelazione, della grazia e della preghiera: ne nomino due sole: la città nella quale convergono, come verso un unico centro di irradiazione, tutti i credenti in Abramo (Gerusalemme); e la città di Pietro e Paolo, quella Roma – per dirla con Dante – onde Cristo è Romano. Ma dovrei citarne altre di queste città di preghiera che infondono tanta luce spirituale e ideale a vasti aggregati di popoli e di nazioni. E quale è il loro destino, visto più da presso, dall’angolo visuale della persona umana e della civiltà umana? Cominciamo da quest’ultimo. Ebbene: collocate Firenze – e ognuna delle vostre città – nella prospettiva intiera della storia e della civiltà: una prospettiva che abbraccia – come anelli di un’unica e solidale catena – la serie integrale dei secoli e delle generazioni. Ditemi: potete voi levare da questo quadro una sola di queste città essenziali, senza operare in essi una rottura insanabile? Senza incidere profondamente – in senso negativo – nella storia intiera degli uomini? La risposta non è difficile a darsi: il contesto storico è sconvolto se viene strappata una sola delle pagine essenziali che lo costituiscono. Il destino di ciascuna città incide profondamente sul totale destino di elevazione e di progresso della storia umana e della civiltà umana. Ciascuna città e ciascuna civiltà è legata organicamente, per intimo nesso e intimo scambio, a tutte le altre città ed a tutte le altre civiltà: formano tutte insieme un unico grandioso organismo. Ciascuna per tutte e tutte per ciascuna.

Ed inoltre la storia e la civiltà umana hanno proprio nelle città il loro suppositum. Storia e civiltà si trascrivono e si fissano, per così dire, quasi pietrificandosi, nelle mura, nei templi, nei palazzi, nelle case, nelle officine, nelle scuole, negli ospedali di cui la città consta. Le città restano, specie le fondamentali, arroccate sopra i valori eterni, portando con sé, lungo il corso tutto dei secoli e delle generazioni, gli eventi storici di cui esse sono state attrici e testimoni. Restano come libri vivi della storia umana e della civiltà umana: destinati alla formazione spirituale e materiale delle generazioni venture. Restano come riserve mai esaurite di quei beni umani essenziali – da quelli di vertice, religiosi e culturali, a quelli di base, tecnici ed economici – di cui tutte le generazioni hanno imprescindibile bisogno. Ut cognoscat generatio altera. E che dire, Signori, del rapporto organico che esiste fra la città e la persona umana? Permettete che io lo chieda a voi, a voi che fate di ciò quotidiana esperienza: non è forse vero che la città è il domicilio organico della persona? Il luogo essenziale, in certo modo, della sua genesi, del suo sviluppo e del suo perfezionamento? Non è forse vero che la persona umana si radica nella città, come l’albero nel suolo? Che essa si radica negli elementi essenziali di cui la città consta: e cioè, nel tempio per la sua unione con Dio e per la vita di preghiera; nella casa, per la sua vita di famiglia; nella officina, per la sua vita di lavoro; nella scuola, per la sua vita intellettiva, nell’ospedale, per la sua vita fisica? Non solo: ma proprio per questa relazione così vitale e permanente che esiste fra le città e l’uomo, la città è lo strumento in certo modo appropriato per superare tutte le possibili crisi cui la storia umana e la civiltà umana vanno sottoposte nel corso dei secoli.

La crisi del nostro tempo – che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano – ci fornisce la prova del valore, diciamo così, terapeutico e risolutivo che in ordine ad essa la città possiede. Come è stato felicemente detto, infatti, la crisi del tempo nostro può essere definita come sradicamento della persona dal contesto organico della città. Ebbene: questa crisi non potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo, più profondo, più organico, della persona nella città in cui essa è nata e nella cui storia e nella cui tradizione essa è organicamente inserita. Questo, Signori, è il significato dell’improvvisa e vasta risonanza che ha oggi, nel mondo intiero, il tema delle città: un tema che va diventando l’aspetto sempre più marcato della cultura e della vita del tempo nostro. Di tutto ciò noi Sindaci abbiamo quotidiana esperienza: noi comprendiamo benissimo come sia vero che la soluzione della crisi storica moderna trovi nella città lo strumento più idoneo della sua soluzione. Entro la cerchia delle mura cittadine i problemi del tempo presente assumono una dimensione umana perfettamente comprensibile. Si comprende benissimo che fra i membri di una stessa comunità cittadina – di una stessa casa comune! – debba esistere un vincolo organico di fraternità e di amicizia: cuius partecipatio in idipsum (Ps. CXXI, 3). A tutti si fa chiaro, infatti, che in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale). In questo quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed economici, sociali e tecnici, culturali e religiosi della nostra epoca prendono una impostazione elementare ed umana! Appaiono quali sono: cioè problemi che non possono più essere lasciati insoluti.

E prima di finire questo capitolo del valore delle città e del loro destino per la civiltà intiera e per la destinazione medesima della persona, permettete che io dia un ammirato sguardo di insieme alle città millenarie, che come gemme preziose, ornano di splendore e bellezza la terra dell’Europa e dell’Asia. Signori, ci vorrebbe qui, per parlare di esse, il linguaggio ispirato dei profeti: di Tobia, di Isaia, di Geremia, o di Ezechiele, di San Giovanni Evangelista. Per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Péguy: essere la città dell’uomo abbozzo e prefigurazione della città di Dio. Città arroccate attorno al tempio; irradiate dalla luce celeste che da esso deriva: città nelle quali la bellezza ha preso dimora, s’è trascritta nelle pietre: città collocate sulla montagna dei secoli e delle generazioni: destinate ancora oggi e domani a portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del tempo futuro una integrazione sempre più profonda ed essenziale di qualità e di valore! Ognuna di queste città non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato: è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare le strutture essenziali della storia e della civiltà dell’avvenire.

Signori Sindaci, tutto quello che ho detto intorno al valore della città umana, non è stato detto per affrontare i termini culturali di un problema tanto vasto e di tanto peso: è stato detto, invece, per porre la premessa della questione fondamentale che sta alla base di questo Convegno fiorentino. Questione che solo ora, nel nostro tempo, a causa degli strumenti di distruzione connessi con la tecnica nucleare, viene posta nei suoi termini più attuali e più drammatici. E la questione è la seguente: quale è il diritto che le generazioni presenti possiedono sulle città da esse ricevute dalla generazioni passate? La risposta, è chiaro, non può essere che questa: è un diritto di usare, migliorandolo e non distruggendolo o dilapidandolo, un patrimonio visibile ed invisibile, reale ed ideale, ad esse consegnato dalle generazioni passate e destinato ad essere trasmesso – accresciuto e migliorato – alle generazioni future. Usare, migliorare e ritrasmettere la casa comune! Si tratta di una eredità fedecommissaria, direbbero i giuristi romani: le generazioni presenti ne sono gli eredi fiduciari; quelle venture, gli eredi fedecommissari.

Eccoci, Signori, al nodo del nuovissimo e massimo problema, in certo senso, che presenti la storia attuale: problema che è insieme, inscindibilmente teologico, morale, giuridico, politico, militare e storico. Per noi Sindaci, come per i popoli che noi rappresentiamo, la soluzione di questo problema non presenta dubbi di sorta. Le città non possono essere destinate alla morte: una morte, peraltro, che provocherebbe la morte della civiltà intiera. Esse non sono cose nostre di cui si possa disporre a nostro piacimento: sono cose altrui, delle generazioni venture, delle quali nessuno può violare il diritto e l’attesa. Nessuno, per nessuna ragione, ha il diritto di sradicare le città dalla terra ove fioriscono: sono – lo ripetiamo – la casa comune che va usata e migliorata; che non va distrutta mai! Ed eccoci, signori Sindaci, proprio alla radice di questo Convegno singolare: lo scopo cui esso mira sta tutto qui: e cioè nel riscoprire il valore ed il destino delle città e nell’affermare il diritto inalienabile che hanno sopra di esse le generazioni venture: nell’affermare, perciò, che le generazioni presenti non hanno il diritto di dilapidarle o di distruggerle. E per dare visibilità e corpo ai nostri ideali noi – signori Sindaci concluderemo questo nostro Convegno mediante la stesura, di un patto simbolico di amicizia e di pace: la pergamena che sottoscriveremo reca appunto – nelle due lingue fondamentali del mondo antico, la greca e la latina – la seguente dicitura: le città capitali di tutto il mondo, convenute a Firenze, si promettono reciprocamente amicizia e pace (pax et bonum).

Signori, intuisco già le critiche degli scettici, dei piccoli Machiavelli della politica: a che serve un atto simile? Forse che noi Sindaci (anche se delle capitali) abbiamo il diritto di guerra e di pace? E allora? Obiezioni simili rivelano una dimensione morale ed anche politica e storica di scarsa misura. A che serve? Serve precisamente, esso pure, a costruire, a suo modo, l’edificio tanto complesso e difficoltoso della pace fra i popoli. Perché si tratta di un edificio che viene costruito a livelli molto vari: c’è il livello massimo, quello di cui a Ginevra si è visto il primo abbozzo e la prima esperienza: e poi vi sono livelli meno alti, ma non meno – a loro modo – essenziali ed efficaci. Vi è, per citarne un altro di tanto valore, il livello di Nuova Delhi e di Bandung; e c’è anche – per piccolo che sia – questo caratteristico e spirituale livello fiorentino: il livello che attiene per un verso a questo così significativo Convegno dei Sindaci delle capitali di tutta la terra. Serve, quindi, ad edificare la pace fraterna fra le Nazioni, la pergamena simbolica che sigleremo la sera del 5 a chiusura del nostro Convegno. Daremo vita, per così dire, ad uno strumento diplomatico nuovo: uno strumento che esprime la volontà di pace delle città del mondo intiero e che tesse un patto di fraternità alla base stessa della vita delle Nazioni. E proprio in vista di questa edificazione di pace, noi pensiamo di ravvivare, con altri convegni di questa natura, da tenersi negli anni prossimi, la lampada di speranza che viene accesa in questi giorni. Perché, Signori, la pace non consiste più in un atto che viene solennemente siglato dai massimi responsabili della vita politica delle Nazioni: essa consiste sempre più, oggi, in un processo di edificazione che esige vaste analisi e che si svolge attraverso un lungo percorso. Esso tocca tutti gli interessi più vitali della comunità umana: quelli economici, quelli politici, quelli sociali, culturali e religiosi. Un processo che ha come centro di gravitazione e di sviluppo un valore di immensa portata; un valore che, nonostante le sue deviazioni, resta tuttavia l’asse attorno al quale si muove l’intiero organismo dei valori dell’Occidente: il valore incomparabile, pericoloso e prezioso della libertà e della responsabilità umana. Ecco perché questo processo di edificazione della pace esige molto tempo e molta prudenza e speranza. Si verificheranno in esso, ineluttabilmente, punte di avanzamento e punte di depressione. E proprio in vista di questi possibili periodi di scetticismo, noi pensiamo che i Convegni fiorentini siano qualificati per riaccendere negli animi di tutti la volontà operosa di una pace fraterna e sincera.

E permettetemi, Signori, che io interpreti, come auspicio di speranza, alcune circostanze di luogo e di tempo connesse col nostro Convegno. L’auspicio di luogo è dato dalla sede del Convegno: Firenze e questo Palazzo Vecchio che porta nel suo frontone il sigillo di Cristo, Re della pace. Questa Firenze singolare; mediatrice, per vocazione, dell’Oriente e dell’Occidente del mondo: questa Firenze che tutti amano e che ha, si può dire, per ogni città della terra un dono di bellezza, di cultura e di speranza. Questo tessuto di vincoli sacri che lega Firenze alle città essenziali del mondo si estende per tutta la distesa della terra: tocca da una estremità, la terra ove oggi fiorisce la massima città del continente americano (New York) ed all’altra estremità, la capitale medesima dell’estremo Oriente asiatico: Pekino. Perché – senza qui nominare Amerigo Vespucci, che diede nome a tutto il continente – fu Giovanni da Verrazzano, un fiorentino, a scoprire, nella terza decade del 1500, l’isola ove sorge New York; e fu parimenti un fiorentino (un religioso francescano della nostra famosa basilica di S. Croce, Giovanni dei Marignolli) a portare solennemente nel 1342 all’imperatore della Cina, a Pekino, un messaggio augurale a lui inviato dal Capo della Cristianità, Benedetto XII e dall’Occidente intiero. Potrei ricordare ancora tutte le gloriose regioni e città d’Europa: Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Germania, i Paesi Scandinavi; tutto lo spazio dei Paesi slavi; la Polonia, e poi i Paesi del medio Oriente: la Palestina, Siria, Libano, Egitto: ed anche gli altri paesi: medio ed estremo Oriente. Dovunque Firenze portò un soffio di ardimento, di lavoro, di grazia e di bellezza! «Godi, Fiorenza, perché se’ sì grande che per mare e per terra batti l’ali…» (Inf., XXVI) come Dante dice.

E permettete, infine, che per completare questo quadro, io vi manifesti la mia gioia quando, pochi mesi or sono, scoprii una cosa che ignoravo: cioè il vincolo veramente singolare che lega Firenze alla storia religiosa, culturale e civile della città di Mosca e dell’intiero popolo russo. Mi riferisco alla parte dominante che Massimo il Greco ebbe nella storica politica religiosa, culturale e civile che animò alla fine del secolo XV ed all’alba del secolo XVI, la storia della città di Mosca e del popolo russo. Ebbene, questo monaco del celebre monastero di San Sergio di Mosca – uomo di altissimo livello ascetico e culturale, figura eminente della storia russa – ebbe in Firenze la sua formazione religiosa e la sua strutturazione culturale ed umanistica. Perché egli abitò in Firenze, fece parte della comunità religiosa di San Marco e si formò sotto la guida luminosa, ma ferma e severa, di Gerolamo Savonarola. Tutto questo basta per legittimare l’auspicio felice che deriva pei nostri obbiettivi di pace dalla scelta di Firenze a sede dei nostri Convegni.

E gli auspici di tempo? Signori, la Chiesa celebra in questi giorni una serie di festività che hanno profonda attinenza con gli scopi che ci proponiamo. Oggi, 2 ottobre, è una grande festa mariana: tutte le città cristiane sono consacrate, come alla loro madre e protettrice, alla Vergine Maria: non parliamo di Firenze che è, con il poema di Dante e con le strutture della sua Cattedrale e delle sue basiliche, un totale Canto mariano.  E mi fa tanta commozione pensare che su tutto lo spazio dell’Islam spira soavemente l’effluvio verginale di Maria. Non solo: ma oggi è anche la festa degli Angeli Custodi: guardiani celesti della persona umana e delle città umane! Domani, è la festa di una delicata creatura della Chiesa di Francia conosciuta e venerata in tutto il mondo: Santa Teresa del Bambino Gesù, fiore verginale sbocciato sulla fine del secolo scorso nel Carmelo di Lisieux. E, finalmente, il Convegno si chiude fra due altre grandi festività: quella di San Francesco d’Assisi, araldo di pace e di bene, da tutto il mondo intensamente amato; e quella di San Brunone, fondatore del più solitario ed orante degli ordini religiosi, quello certosino. Un ordine apparentato interiormente a tutto il vitale tessuto di silenzio e di orazione che copre tanta parte dell’Oriente europeo ed asiatico (si pensi non solo ai monasteri cristiani, ma anche agli stessi monasteri buddisti, indù e così via) e che ora va coprendo, coi monasteri della trappa, anche il continente americano.

Signori Sindaci, ho finito: perdonatemi per la lunghezza di questo discorso dovuta alla novità ed alla importanza degli argomenti in esso trattati. Non possiamo, chiudendo, non rivolgere il nostro animo grato a tutti gli artefici – grandi e piccoli – della pace umana. A Sua Santità il Papa Pio XII, che coi Suoi sempre più pressanti appelli rivolge da anni, a tutta la cristianità ed a tutti i popoli, l’invito paterno alla concordia e all’amore. Lo stesso sentimento di gratitudine noi esprimiamo ai quattro Grandi – Bulganin, Eden, Eisenhower, Faure – che a Ginevra hanno posto mano alla costruzione così faticosa della pace umana. Ma il nostro pensiero augurale non può non andare in questo momento sovrattutto al Presidente degli Stati Uniti: noi tutti – e con noi, ne sono certo, tutti i Sindaci delle città del mondo – formuliamo per lui, artefice sincero e generoso di pace, l’augurio di un ristabilimento pieno e pronto. Che egli possa presto tornare a quell’opera di saggezza e di costruzione, che ha destato in tutti i popoli le più fondate speranze per un avvenire di pace e di lavoro.

Un grazie cordialissimo a tutti voi, signori Ambasciatori, Ministri, Eccellenze, Signore e Signori, che con la vostra presenza ci stimolate ad operare e a non temere! Ma non possiamo chiudere senza inviare a tutte le città gravemente mutilate dall’ultima guerra – a Hiroshima e Nagasaki per non citare che le due più significative – ed a tutte le città piccole e grandi della terra, l’augurio fraterno di pace e bene: pax et bonum! Con questi sentimenti ed alla luce di questi auspici io ho l’onore, signori Sindaci, Eccellenze, Signore e Signori, di dichiarare aperto il primo Convegno fiorentino dei Sindaci delle Capitali.

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