La Pira trova a Firenze il terreno più adatto in cui svolgere il suo impegno politico. La città diventa il laboratorio in cui mettere in pratica le sue idee, rivolgendo il suo impegno ai problemi concreti della povera gente. Un’esperienza amministrativa ricca e singolare, che Giovanni Paolo II in diverse occasioni ha voluto additare come esempio e modello di impegno sociale per i cristiani e non solo per essi. Giorgio La Pira aveva chiara la sua idea di città e dei diritti sociali che aveva contribuito a porre alla base della Costituzione. Nel novembre del 1951 racconta la sua esperienza di sindaco in un discorso durante un convegno di giuristi cattolici in cui descrive le mille difficoltà e i grandi problemi da risolvere: ci sono famiglie senza casa, disoccupazione, miseria.
Il nodo più drammatico da sciogliere è quello dell’emergenza casa. La Pira è preoccupato per l’aumento degli sfratti: 437 nel 1950, 799 nel 1951, per il 1952 ne sono previsti più di mille. Vara un programma di edilizia pubblica (le “case minime”) e, per fronteggiare l’emergenza, chiede ad alcuni proprietari immobiliari di affittare temporaneamente al Comune una serie di appartamenti vuoti. A seguito delle risposte negative, ordina la requisizione degli immobili .
Il provvedimento si basa su una legge del 1865, che dava facoltà ai sindaci di requisire qualsiasi proprietà privata in situazioni di emergenza o per motivi di ordine pubblico. La Pira rispolvera questa norma e la applica alla situazione fiorentina. “Il problema di un alloggio ai senza tetto – recita l’ordinanza – riveste gli aspetti di una grave necessità pubblica”.
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