La fama di questo singolare personaggio, che i fiorentini chiamano ormai il “sindaco santo”, giunge presto anche all’estero. Per la sua attività, La Pira riceve però anche attacchi di ogni tipo. Viene accusato di fare il gioco dei comunisti; il giornale fiorentino La Nazione lo attacca quotidianamente, lo chiama “comunistello di sacrestia”; accuse e frecciate vengono anche da ambienti cattolici. Significativa la sua “autodifesa” in una lettera a Pio XII. Alle elezioni comunali del 1956 La Pira, per quanto osteggiato dai poteri forti, riscuote un grande sostegno popolare (quasi 34000 preferenze). Però la nuova legge elettorale, rigidamente proporzionale, rende più instabile la maggioranza: La Pira è eletto sindaco ma dopo un anno deve lasciare la guida del Comune a un commissario prefettizio.
Alle elezioni comunali, nel 1960, sarà di nuovo il più votato e guida la sua terza amministrazione, dal 1961 al 1965, sostenuto da una coalizione DC-PSDI-PSI. La costruzione di 17 nuove scuole, la sistemazione dell’acquedotto, il varo del nuovo piano regolatore, la valorizzazione dell’artigianato fiorentino e del Maggio musicale e molte altre realizzazioni che hanno cambiato il volto della città, sono i punti intorno ai quali si concentra l’azione amministrativa. Contemporaneamente accompagna il periodo conciliare e la speranza della distensione internazionale.


Alle nuove elezioni ottiene ancora un notevole successo, ma il clima politico è ormai deteriorato: in un telegramma al segretario della DC Mariano Rumor e al Primo Ministro Moro La Pira denuncia le trame con cui, nelle segreterie dei partiti e nei “salotti” cittadini, si lavora per mettere fine alla sua singolare esperienza di sindaco.
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