Noi non siamo sognatori, non siamo utopisti e visionari, quando diciamo che le chiarine di Palazzo Vecchio annunziano (come l’Angelo dell’Apocalisse) che il demone della guerra è incatenato e che l’Angelo della pace è già in cammino, per le strade di tutti i continenti, per l’attuazione del regno pacifico e millenario di cui parlano i Profeti dell’Antico e del Nuovo Testamento!
Non siamo utopisti: siamo gli osservatori attenti, realisti, dei segni essenziali del nostro tempo; osservatori che vedono questi segni ed interpretano questo tempo nella luce teologale della fede, della speranza e dell’amore!
Il messaggio di Firenze è tutto qui: si identifica con quello di Pio XII e di Giovanni XXIII: un messaggio che è accolto con crescente simpatia anche dai popoli e dai leaders politici più responsabili ed impegnati del tempo nostro; leaders dell’Est e dell’Ovest; del Nord e del Sud; messaggio che tanta affettuosa risonanza ha presso i popoli nuovi, come si dice, di Africa e di Asia.
Questo messaggio – rapportato al Concilio – può essere cosi articolato:
Firenze, del resto, è abituata a contemplare (anticipandola) questa grande prospettiva storica di unità, di pace e di prosperità di tutte le genti!
Dante lo disse: – l’unità, la pace e la civiltà di tutti i popoli della terra è il fine ultimo (in certo senso) verso il quale si dirige la navigazione storica del mondo: …ad quod velut in ultimum finem omnia nostra opera ordinantur, quod est pax universalis (De Mon. 1, 6).
E «profeticamente» soggiunse… patet quod genus humanum in quiete sive tranquillitate pacis ad proprium suum opus, quod fere divinum est… liberrime atque facillime se habet (De Mon. 1, 5).
Firenze conosce, attraverso i suoi grandi architetti, scultori e pittori, questo mistero dell’unità della Chiesa e del mondo: la cupola del Brunelleschi (di cui quella di San Pietro è la riproduzione: più grande ma non più bella) è la visibilità di questa unità, in Cristo, di tutti i popoli, di tutte le città e di tutte le genti!
E questa unità e questa pace della Chiesa e del mondo Firenze essa la contemplò visibilmente durante il Concilio del 1439.
E questa unità e questa pace del mondo essa ha di nuovo contemplato – con l’occhio della speranza! spes contra spem – in questi ultimi dieci anni, quando vide riuniti entro le sue mura, in Santa Croce ed in Palazzo Vecchio, i sindaci delle città capitali di tutto il mondo ed i rappresentanti qualificati dei popoli di tutta la terra.
Questo messaggio – che è «ipotesi di lavoro» che dà norma alla nostra azione – Firenze lo ha annunziato e lo ha sperimentato non solo nel Salone dei Cinquecento (attraverso i convegni, i colloqui, i gemellaggi, ecc.), ma lo ha altresì annunziato e sperimentato nei «punti» più alti e sensibili della storia presente del mondo: a Gerusalemme ed a Betlemme; nel palazzo reale di Rabat ed in quello di Amman; nel palazzo presidenziale del Cairo e in quello di Tel Aviv; a Parigi come a Costantinopoli ed anche nel «punto» in certo modo più «mosso» e più «sensibile» della storia presente del mondo: al Kremlino!
Ovunque questo messaggio è stato accolto con rispetto e simpatia: un soffio di efficace speranza è sempre passato in tutti i luoghi nei quali questo vessillo è stato innalzato: il vessillo di Firenze (giglio rosso su fondo bianco) che porta il motto di Abramo e di San Paolo: spes contra spem!
Questa speranza è fiorita? Rispondono i fatti: l’ultimo fatto è la pace in Algeria!
Nella luce di questo messaggio – di questa felice «ipotesi di lavoro» – noi vediamo a Firenze (in conformità, del resto, a quanto ha esplicitamente affermato Giovanni XIII ed a quanto ha detto l’Episcopato più impegnato ed i teologi più impegnati del nostro tempo) la natura e lo scopo ultimo di questo evento storico costituito dal Concilio Ecumenico Vaticano II.
Cosa è? Il «segno» più visibile della nuova epoca storica; della nuova «pienezza dei tempi»; della nuova Pentecoste; della stagione storica primaverile (preparatrice della grande estate storica) nella quale il Padre Celeste ha già fatto entrare la storia della Chiesa e del mondo!
Gli alberi della storia sono fioriti: l’estate è vicina: levate capita vestra! (come Giovanni XXIII ha detto nel discorso dell’11 settembre, «introduttivo» al Concilio).
Il Concilio dell’epoca «spaziale», il Concilio – nella sua ispirazione di fondo – della unità e della pace della Chiesa e del mondo.
Il Concilio che Gesù «vide» quando disse (nella Sua preghiera finale al Padre): la Chiesa sia una affinché sia «illuminato» ed uno il mondo (…Unum sint ut cognoscat mundus…).
Ecco come Firenze vede il Concilio Vaticano II: come un gigantesco evento destinato ad agire profondamente sulla storia presente e futura non solo della Chiesa e della Cristianità, ma altresì su quella di tutti i popoli della terra. «Porta di ingresso» dell’epoca nuova; «faro» destinato a segnare i punti cardinali che orientano la navigazione storica, della intiera famiglia dei popoli. E come il Concilio di Gerusalemme: ha davanti a sé il mondo intiero.
È come una barca (la Chiesa!) che deve avventurarsi in un nuovo grande viaggio: verso mari nuovi e terre nuove: il capitano e tutto l’equipaggio (il Papa ed i Vescovi) sostano nel porto (a Roma, come fu a Gerusalemme), si «siedono» (San Luca) e si «consultano» prima di partire per la nuova millenaria, avventurosa navigazione storica della Chiesa e dei popoli.
Questo Concilio è non solo «segno rivelatore» della nuova stagione storica e della nuova epoca storica (dell’unità e della pace del mondo): ma è altresì strumento essenziale per l’edificazione di questa unità, di questa pace e di questa fioritura spirituale e civile di tutte le genti.
È il Concilio delle due verghe spezzate ridotte ad unità di cui parla il Profeta Ezechiele.
Nella luce di questo messaggio ( e di questa «ipotesi di lavoro») noi vediamo il collegamento, ideale, in certo senso organico, fra il Concilio Ecumenico Vaticano II ed il Concilio Fiorentino del 1439: il quale, fu appunto (a parte i risultati immediati) il Concilio dell’unità e della pace delle due parti coessenziali del corpo della Chiesa e delle nazioni: quella di Oriente e quella di Occidente!
Questa continuità storica ed ideale è evidente: non solo per il fatto che questi due obbiettivi di unità e pace della Chiesa e delle nazioni hanno sempre costituito e sempre più costituiscono i motivi ispiratori di tutta l’azione di Giovanni XXIII (caratterizzano la vocazione e la missione del suo pontificato): ma altresì pel fatto che il problema di fondo della nostra epoca è proprio questo: riunire le due parti dell’unica verga di Ezechiele ed edificare così la pace e l’unità di tutta la terra!
E si permetta al Sindaco di Firenze questa osservazione storica: l’unità e la pace della Chiesa e del mondo furono sigillate a Firenze nel 1439 (anche se non vi furono effetti immediati): ed anche oggi la pace e l’unità del mondo hanno, in qualche modo, a Firenze un domicilio di speranza e di attesa.
E nel dire questo crediamo di non alterare i lineamenti della realtà storica odierna!
La Provvidenza non fa mai le cose a caso: ma tutto con amore e con sapienza dispone ed ordina a questo fine tanto supremo (la preghiera finale di Cristo!) della pace e della unità della Chiesa e dei popoli di tutta la terra!
Visto, appunto, in questa luce della preghiera finale di Cristo e del disegno totale della Provvidenza nella storia del mondo, il Concilio di Firenze assume un valore davvero «finale» e di «emergenza soprannaturale e storica»: esso è un segno precursore di questa epoca millenaria della Chiesa e del mondo: esso costituisce la lontana genesi di questo nuovo Concilio, destinato, appunto, ad aprire per sempre, alla Chiesa ed ai popoli, l’epoca millenaria della unità, della pace e della fioritura dei popoli di tutta la terra.V
Ecco i punti essenziali nei quali si articola il messaggio di Firenze in ordine a questa millenaria epoca della storia del mondo e rapportata al Concilio Ecumenico Vaticano II (ideale e storica prosecuzione di quello fiorentino del 1439): un Concilio che di questa stagione storica è il «segno» in certo modo più marcato e uno degli strumenti di edificazione in certo modo più efficaci.
Ecco perché Firenze ha dato e dà pubblico ed accentuato rilievo a queste manifestazioni relative al Concilio: perché si tratta di un evento che tocca profondamente la storia non solo della Chiesa e della cristianità ma la storia intiera del mondo: e che tocca, altresì, profondamente, la storia, la vocazione e la missione di grazia, di pace, di unità, di bellezza che il Signore ha riservato a Firenze «per la esultanza e la gioia di tutta la terra» (come dice il Salmo a proposito di Gerusalemme!).
Ecco perché abbiamo spedito la fotocopia della «Bolla di unione» del 1439 a tutti i Padri Conciliari ed a tutte le guide spirituali e politiche del mondo; ecco perché abbiamo preso l’iniziativa di queste «meditazioni» al più alto livello teologico sul «senso della storia» e, perciò, sulle vaste prospettive storiche nelle quali si colloca questo Concilio idealmente collegato a quello fiorentino.
Ed ecco perché queste manifestazioni «introduttive» saranno in certo modo concluse (nella loro prima fase) col messaggio di pace che l’Africa Nera, attraverso il Presidente del Senegal, Senghor, invierà il 4 ottobre (festa di San Francesco) da Palazzo Vecchio a tutti i popoli della terra: un messaggio che si colloca esso pure nel grande contrasto storico dell’epoca presente e del Concilio che, in certo modo, «formalmente» la apre per la speranza del mondo intiero.