Lettera di Zaccagnini a La Pira
Caro La Pira,
mi richiamo, come tu stesso ami fare, a una frase di Teilhard De Chardin: “il passato mi ha rivelato la costruzione dell’avvenire” e la riferisco alla situazione storica e politica di oggi. Da essa -facendo lo sforzo di superare polemiche, incertezze, debolezze- appare sempre più chiara la necessità di non perdere di vista le ragioni che dettero vita alla democrazia italiana: cioè il disegno, la metodologia che furono alla base della intera costruzione.
Il disegno rimane quello di una democrazia pluralista, articolata a cerchi concentrici che facendo perno sulla famiglia si allarga sempre di più a livello di comunità più vaste, fino a quella internazionale. La metodologia mi pare altrettanto essenziale: quella del dialogo fra tutte le componenti che concorsero ad abbattere il fascismo, che -come ogni autoritarismo- sboccò inevitabilmente nella furia devastatrice della guerra.
Ho richiamato alla memoria questo momento essenziale della vita politica italiana, per il ruolo altrettanto essenziale che ebbe la Democrazia Cristiana, punto di riferimento di uomini liberi e generosi, cardine ancora oggi per la stabilità democratica del paese, e perché, mutate le condizioni per molti sensi sotto un segno positivo, occorre riprendere quel disegno con quello spirito che animò i costituenti e con quella integrità intellettuale e morale che in te non è mai venuta meno.
La visione solidaristica necessaria e unificante agli antipodi dell’imperversante e mistificante individualismo pseudo-libertario, impone a tutti una ripresa tenace dei valori che furono alla base dell’impegno dei cattolici che militano nella vita pubblica, perché essi restano più che mai validi.
L’appello che ti rivolgo perciò è che tu accetti, in questa battaglia tanto importante per la democrazia italiana, di essere ancora una volta a nostro fianco.
Abbiamo bisogno della tua presenza a Firenze come capolista della D.C. e nel collegio senatoriale di Montevarchi.
Sono sicuro che accoglierai questo invito e fin d’ora te ne ringrazio sinceramente a nome mio e della Direzione D.C.
Con tanta cordialità, tuo
Benigno Zaccagnini
Roma, 15 maggio 1976
Lettera di La Pira a Zaccagnini
Caro Zaccagnini,
sì. questo non è il momento delle debolezze e delle incertezze, è il momento del coraggio affidato all’intelligenza vivificante e alla riflessione attenta e costruttiva. La polemica, ovunque, produce solo sterilità ed amarezza, sono d’accordo con te.
Tu mi inviti a riprendere il progetto della casa comune che noi costituenti concepimmo con una architettura armonica e, in certo senso, unica ed originale.
Che fare? Ecco la domanda che ora mi pongo. L’appello che mi rivolgi, anche a nome della Direzione centrale, è estremamente impegnativo e avrei preferito, com’è naturale, che altri continuassero l’opera intrapresa. Sai, a Firenze, c’è il campanile di Giotto che non fu costruito in un giorno, ma, da lui progettato, fu poi opera di Andrea Pisano e Francesco Talenti. Ma tu mi chiedi di affiancarmi al comune sforzo di riprendere il «progetto» che è rimasto incompiuto -non perché abbia subìto l’usura del tempo- ma perché incompiuta è rimasta la costruzione, su due piani: quello della comunità nazionale e quello della comunità internazionale.
Per la comunità italiana, una delle conquiste della Costituzione repubblicana fu quella di garantire i diritti essenziali della persona, ma accanto ad essi si considerò altrettanto essenziale nel nuovo stato democratico l’introduzione e la tutela dei diritti sociali, senza i quali la libertà stessa della persona non sarebbe stata sufficientemente garantita.
Questa organica architettura è visibile nella Carta costituzionale: il diritto di iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (art. 41); il diritto di proprietà privata è finalizzato dalla sua funzione sociale (art. 42); la struttura delle aziende è avviata verso la partecipazione (art. 46).
Nello spirito dei costituenti e con tanta insistenza di quelli cattolici, l’introduzione dei diritti sociali nel sistema dei diritti essenziali della persona comportava un mutamento. L’accettazione strutturale dell’ordinamento giuridico-economico, non solo in totale opposizione a quello fascista, ma anche come superamento della concezione liberale borghese: perché in uno stato di capitalismo avanzato, affidarsi alle sole leggi della libera concorrenza e del mercato avrebbe significato la creazione di monopoli che di fatto limitano e discriminano la uguaglianza e le libertà. Libertà per tutti quindi sì, ma anche lavoro per tutti, ospedali, case, scuole, ecc.
Ora, nonostante i progressi ottenuti, e che sono evidenti, non dimentichiamo che le «attese della povera gente» non sono state dovutamente corrisposte ed abbiamo ancora più oggi un obbligo politico (che è anche morale) di mettere a frutto tutte quelle energie spirituali, umane e intellettive perché quei valori, a cui ti richiami, e che sono stati e sono patrimonio del nostro impegno politico non vadano disattesi.
A chi crede di aver trovato, sia pur in modo sofferto, facili certezze, alle nuove generazioni dobbiamo ridare la fiducia che noi ci sforzeremo di essere una realtà che ogni giorno lotta per la crescita delle condizioni di piena giustizia, di lavoro operoso e di fratellanza, nella salvaguardia puntuale di ogni espressione piena del pluralismo politico, culturale e civile.
Sono ancora d’accordo con te che questa battaglia è «tanto importante per la democrazia italiana». Nel rispetto più assoluto degli altri convincimenti, impegniamoci perché ognuno riscopra fino in fondo le radici della propria identità. Sapremo così evitare ogni pericolo di rimettere in discussione la «pace religiosa» che fu uno dei punti sempre coscientemente presenti ai costituenti italiani.
Per quanto riguarda la comunità internazionale, i passi compiuti nella direzione di quel «progetto» sono stati estremamente significativi, seppure resi ardui da tante pietre d’inciampo.
Si va affermando la convinzione che la guerra non può più costituire un mezzo per dirimere le controversie internazionali («O la metastrofe o la catastrofe», come dice Jean Guitton) e che alla contrapposizione tra i blocchi debba succedere il superamento delle vecchie concezioni di un equilibrio fondato sul terrore in vista di una nuova coesistenza.
Le basi. di essa cominciano a prendere corpo nell’atto di Helsinki -un vero prototipo della nuova «carta di navigazione» dei popoli- ed indicano all’umanità il suo irreversibile cammino.
Ma altri essenziali traguardi stanno davanti al nostro impegno: la reale costruzione della pace e perciò disarmo generale e completo, la liberazione e il progresso fondato sulla giustizia.
Nei due ordini, quello nazionale e quello internazionale, la metodologia è quella della «costruzione di ponti», è quella del dialogo, che tu hai tanto giustamente indicato. Rimettiamo mano dunque al grande progetto della «casa comune».
Contro ogni furbizia e miopia, misuriamoci con i concreti problemi di ogni giorno senza mai perdere .di vista le mete spirituali e civili a cui ogni popolo ha diritto di tendere: recuperando al nostro tempo quell’ottimismo che la nostra concezione cristiana della vita ci consente, operando con piena lealtà e in spirito di servizio per il bene del nostro paese e del mondo intiero.
«Spes contra spem» è tuttora il motto che deve guidare la nostra azione politica.
Tuo aff.mo
Giorgio La Pira.
Firenze, 24 maggio 1976